La terapia del disturbo da attacco di panico
Il DAP (disturbo da attacco di panico) è una sindrome psicopatologica molto diffusa.
Solitamente l’intervento per questa patologia vede l’applicazione di tecniche cognitivo comportamentali con approcci di tipo relazionale.
Spesso il sintomo agorafobico (Agorafobia: paura di risiedere in luoghi aperti; tale angoscia attiva il panico. Da qui si dice disturbo da attacco di panico con agorafobia.) consiste in un inspiegabile e doloroso sentimento di angoscia quando il paziente si trova nella situazione di allontanamento dalla propria abitazione ed/o in uno stato di solitudine.
Gli agorafobici attribuiscono il loro stato ad una malattia fisica o al timore di “perdere il controllo”, trascurando i rapporti interpersonali, le emozioni derivate dalla minaccia di separazione o la perdita di una persona significativa.
Invece è ricorrente che il sintomo compaia in concorrenza ad episodi significativi di cambiamento, in cui il cambiamento è paventato o atteso seppur comportando la separazione dalla famiglia di origine o da una particolare persona di riferimento ( il coniuge, il convivente…)
Le prime esperienze di attaccamento tra bambino e genitore sono importantissime per la decodifica di tutte le esperienze relazionali che un individuo sperimenta nella propria vita.
Attraverso le esperienze infantili di attaccamento il bambino (futuro adulto) organizza il bagaglio interiore di sé stesso in relazione all’altro e conserva nella memoria le emozioni connesse a quelle esperienze. Questo bagaglio prende il nome di MOI (Modello Operativo Interno) e guida la consapevolezza di un bambino sulle proprie capacità e sull’essere più o meno degno di essere amato.
Talvolta alcune persone che soffrono di attacchi di panico, hanno sperimentato l’accudimento di un genitore intrusivo ed imprevedibile che nell’infanzia violava continuamente i loro spazi di autonomia, prospettando situazioni di tragedia qualora essi si fossero trovati fuori dalla loro protezione e diretto controllo.
La conseguenza era una forte rabbia ed ostilità mortificata e repressa per non dispiacere all’adulto che rappresentava al contempo la fonte di amore e di sicurezza.
L’approccio relazionale che mira a comprendere l’origine e la funzione degli attacchi di panico, si propone di trovare un collegamento tra i modelli operativi interni di un individuo e la percezione che esso ha nell’entrare in rapporto con gli altri.
Il lavoro terapeutico così mira a ridurre la cecità emozionale del paziente che non connette le emozioni al timore del distacco e della perdita; al contempo occorre impegnarsi in un lavoro cognitivo che metta in relazione i pensieri, le emozioni e i comportamenti che si attivano durante gli episodi di panico.
Il lavoro terapeutico è un lavoro soprattutto di ascolto della propria storia attraverso il racconto di sé all’Altro capace di mettere un ordine nuovo ricucendo una storia ben formata in cui le emozioni, i pensieri e i comportamenti possano accordarsi in una nuova armonia.